I miei giorni di luce con Osho: Prefazione

Libro di Prem Shunyo
Prefazione di Dr. Lawrence Blair

Mi sembra giusto che sia io a scrivere l’introduzione al libro di Shunyo, visto che sono stato io, come lei racconta, ad accompagnarla all’inizio della sua avventura e a salutarla mentre saliva sull’aereo per l’India, diciassette anni fa. Poi, lei divenne intima discepola del guru indiano Bhagwan Shree Rajneesh, oggi conosciuto col nome di Osho (Maestro Zen), nome che i suoi discepoli gli diedero poco prima che morisse, nel gennaio del 1990.

Questa è la storia di ciò che veramente accade, di questi tempi, a un’occidentale che si incammina sul sentiero della bhakti, la via della devozione… allorché si cerca, si riconosce e si segue il proprio vero Maestro, la porta d’accesso alla propria illuminazione. Forse Osho non è il vostro Maestro o il mio, ma nelle limpide parole di Shunyo diventa chiarissima la verità del vecchio detto “tutte le strade del cuore conducono alla cima della stessa montagna – e più si avvicinano alla cima più si assomigliano.” Nel caso di Shunyo, il suo sentiero è rappresentato dal famoso ‘guru del sesso’ della stampa scandalistica, che si è fatto gioco di tutti i valori della società, ammassando Rolls Royce e decine di migliaia di sannyasin dalle tuniche rosse disinibiti, allegri e festanti. Il guru che poco cerimoniosamente è stato deportato, diffamato dalla stampa, il cui Ashram in Oregon è stato distrutto e che poi, malato e con pochi discepoli, è stato braccato da un paese all’altro dal governo degli Stati Uniti, per un anno intero, prima di tornare in India dove è morto poco dopo per motivi non chiari. Per quindici anni, Shunyo si è completamente dedicata a seguire il cammino di Osho verso l’illuminazione, mentre lavava i suoi vestiti e si prendeva cura di lui. E’ sempre stata ‘la silenziosa,’ la ‘Maria Maddalena’ fra gli intimi che sono sopravvissuti ai tanti capovolgimenti. Bruna bellezza celtica, proveniente dalle zone selvagge della Cornovaglia, Sandy Pengelly ballava, cercava l’amore e il significato della vita, mentre tentava di sopravvivere nella Londra degli anni dei figli dei fiori. Nel 1975 abbandonò tutto e andò a Pune, in India, per vedere se Osho era all’altezza dei suoi libri. Lo era. Le diede il nome Chetana. E molti anni dopo, poco prima di morire, le cambiò nome ancora una volta: ‘Shunyo’ – che, come lei spiega con orgoglio, significa ‘Zero’. Questo libro è il movimentato diario delle sue avventure interiori ed esteriori, un denso susseguirsi di esperienze che hanno messo a repentaglio la sua vita e la sua sanità mentale, ma che al tempo stesso si sono rivelate molto importanti. Dopo essere stata sei anni a Pune, Shunyo ha accompagnto Osho quando è andato in America. Lì ha lavato i suoi vestiti, durante gli anni esplosivi in cui è salito alla ribalta internazionale, per poi essere ricoperto d’infamia. Ha condiviso con lui le catene e la prigione nel Nord Carolina (malgrado non ci fossero accuse contro di lei, o contro di lui) e alla fine è stata deportata – senza spiegazioni. Osho, sofferente e fragilissimo, è stato poi braccato da un paese all’altro con alcuni dei suoi discepoli più intimi, mentre cercava un rifugio sotto la costante minaccia di arresti e deportazioni. Questa incredibile famiglia di esseri umani, vulnerabile e sensibilissima, ha sperimentato per anni l’odio e il rifiuto su scala internazionale, prima di affrontare il ritorno in India, la terra in cui Osho aveva radicato il suo lavoro negli anni ‘70, e che aveva lasciato in un’incerta situazione politica. Al ritorno, all’aeroporto di Bombay, venne quasi schiacciato dal tumultuoso benvenuto della folla. Shunyo visse con lui negli ultimi anni, mentre deperiva rapidamente – sebbene solo nel corpo, mai nella sua luce radiosa – a causa di una fatale, devastante malattia che è stata unanimemente diagnosticata, da varie fonti mediche indipendenti fra loro, come risultato dell’avvelenamento da tallio, somministratogli nelle carceri americane. Fu in quei mesi terminali che Osho ha portato Shunyo alla comprensione che, in verità, in tutti quegli anni, lei aveva realmente percorso il proprio sentiero interiore e che ora si stagliava più limpida e cristallina che mai, sia nel suo cuore che nella sua prosa. Sono sicuro che il lettore saprà riconoscere che questo libro è stato veramente scritto dal cuore. In esso ci sono tre elementi molto forti che vorrei mettere a fuoco. Primo: descrive il cammino interiore di una bhakti, cioè di una devota del ventesimo secolo, con una tale innocenza da rivolgersi a chiunque abbia mai tentato di andare dentro se stesso, non importa attraverso quale sentiero. Secondo: per coloro che non l’hanno mai tentato e si chiedono cosa sia questa “illuminazione”, è la descrizione di cosa voglia dire essere uno scalatore delle alte vette, di quello che molto spesso viene cinicamente definito il “movimento della consapevolezza” degli ultimi trent’anni: una mosca sul muro di uno dei più interessanti eventi dei nostri giorni e una testimone della perenne cospirazione delle oscure forze dell’ignoranza contro la luce della chiarezza profetica. Terzo: poichè il cammino di Shunyo ha coinciso con quello di un uomo che ha lasciato, come ogni leader di un culto, una traccia profonda nell’immaginazione popolare, il suo racconto rappresenta un contributo chiarificatore e di grande valore per i nostri tempi. E comunque, dando uno sguardo retrospettivo, chi mai nella storia desta maggior interesse, di coloro che hanno vissuto idee che lasciano le tracce più profonde, e raccolgono le più dure reazioni nel corso della loro esistenza?

 

Dr. Lawrence Blair
autore di: ‘Rhytms of Vision’ e ‘Ring of Fire’
Autore di film e conferienziere

Pubblicato in I miei giorni di luce con Osho.