I miei giorni di luce con Osho: Capitolo Quarto

Libro di Prem Shunyo

Energy Darshans

Osho si è illuminato il 21 marzo del 1953.

Da quel giorno, ha cominciato a cercare persone in grado di capirlo, persone alla ricerca della propria illuminazione. E in tanti anni, ha aiutato centinaia di migliaia di individui lungo il cammino dell’autorealizzazione. L’ho sentito dire: “Per l’uomo la ricerca della verità continua per molte vite. Si raggiunge dopo molte nascite e coloro che la cercano pensano che una volta raggiunta proveranno un gran sollievo. Ma chi riesce a trovarla, si accorge che il suo successo è l’inizio di un nuovo travaglio, privo di qualsiasi sollievo. La verità, una volta trovata, creerà nuovo lavoro.” (da In search of the Miraculous)

E per spiegarlo, porta l’esempio di un fiore che deve condividere il proprio profumo e di una nuvola carica di pioggia che ha bisogno di liberarsi di tutta l’acqua che la appesantisce. Osho ha viaggiato per tutta l’India, percorrendola in lungo e in largo per vent’anni, ininterrottamente, cercando discepoli, persone che comprendessero il suo anelito a condividere la pienezza conseguita, ma è stato ripagato con incomprensioni e violenze: gli hanno tirato pietre, scarpe e coltelli. A causa del tanto viaggiare si è rovinato la salute, anche perché i treni indiani sono veramente sporchi e scomodi: alla fine, la sua schiena era letteralmente a pezzi e ne soffrì, senza peraltro soffrirne.

Alcuni spostamenti duravano anche 48 ore, praticamente ha passato sui treni i tre quarti di quei vent’anni. Ha visitato ogni città e moltissimi villaggi dell’India, parlando con la gente e, in una fase successiva, organizzando campi di meditazione. Durante questi campi, guidava personalmente le meditazioni e incoraggiava la gente a provare, ad ‘assaporare’ quello di cui lui parlava… era, diceva, il solo modo per comprenderlo realmente. Vedendo che le meditazioni tradizionali erano ormai rituali in disuso, ha creato nuove tecniche più adatte all’uomo contemporaneo, “la cui mente,” dice, “è così occupata da non riuscire più a sedersi in silenzio.”

Di solito, le meditazioni di Osho includono uno stadio catartico, nel quale le emozioni represse possono essere scaricate all’esterno ed espresse, e uno stadio chiamato ‘gibberish’, la tradizionale ‘glossolalia’ o parlare in una lingua di fantasia, nel quale viene dato libero sfogo alla mente e al suo chiacchierio interno e senza senso, per aiutarla a liberarsi dalla propria pazzia. Sono tutti passaggi indispensabili, prima di poter arrivare a sedersi semplicemente in silenzio. Osho aiutava tutti coloro che partecipavano ai suoi campi di meditazione a liberarsi della propria pazzia, di tutto ciò quindi che impediva un naturale fluire dell’energia, e dunque delle proprie emozioni e sensazioni creando spazi in cui poter piangere, urlare, saltare ed esternare le tante tensioni che di solito si reprimono e si accumulano nell’organismo… e lui stava lì con loro, in mezzo alla polvere e al caldo.

Nel 1974 cambiò rotta, decidendo di fermarsi. Fu allora che alcuni discepoli trovarono l’insieme di edifici contigui – alcune ville di Koregaon Park, a Pune – che col tempo divennero l’Ashram in cui continuano a giungere da tutto il mondo migliaia di persone, con la certezza di trovarvi gli strumenti, ma soprattutto l’ambiente, necessari al loro processo di crescita. Lentamente, negli anni che seguirono, tra meditazioni catartiche, gruppi di terapia e programmi di crescita, diversi di noi si trovarono sulla soglia di quel ‘mondo nuovo’ in cui Osho pareva vivere, perennemente indisturbato. Nel 1978 perciò decise, oppure semplicemente ‘accadde’, di dare inizio a una nuova fase: gli energy darshan. Era un’opportunità per tutti i suoi discepoli di avere un assaggio di quello che posso solo chiamare l’altro mondo, il mondo ‘magico’.

Il darshan, a cui ogni sera partecipavano circa duecento persone, si teneva in Chuang Tzu, l’antico auditorio, ora sostituito da una Hall molto più grande, in grado di accogliere tutte le persone, divenute migliaia e migliaia, che ogni mattina andavano ad ascoltarlo. Osho, come sempre, entrava e si sedeva sulla sua poltrona, ma ora dodici medium erano sedute alla sua destra. Quando qualcuno veniva chiamato, si sedeva davanti a Osho che disponeva le medium intorno a lui. Una volta disse che le medium sono dei ‘ponti’. Ebbene, io ero una di loro.

Metteva una di noi in ginocchio, dietro alla persona, un’altra veniva fatta sedere davanti, e le teneva le mani e le altre medium erano poi poste a sostegno energetico di questo primo trittico. Poi era il silenzio. Osho allora diceva: “Chiudete gli occhi e andate totalmente dentro di voi.”

Un gruppo di musicisti si metteva a suonare, era una musica del tutto folle, suono puro, e tutti i presenti cominciavano a muoversi a quel ritmo, esprimendo con il corpo tutte le emozioni provate. Solo una persona estremamente rigida e determinata avrebbe potuto resistere a quell’ondata di energia senza lasciarsi andare: erano pochi quelli che ci riuscivano.

Osho toccava con una mano il centro d’energia della medium (conosciuto anche come terzo occhio) e con l’altra il terzo occhio della persona che riceveva il darshan. Era una trasmissione di energia che dall’esterno poteva apparire come una scossa elettrica ad alta tensione. Durante questa fase del darshan, tutto l’Ashram rimaneva al buio e i discepoli che non erano entrati a Chuang Tzu, si sedevano in giardino, o nelle loro camere, o in qualunque altro posto all’interno dell’Ashram, e tutti in quel perimetro di sei acri erano pervasi da un unico fenomeno d’energia che s’irradiava da Osho. Poi le luci si riaccendevano mentre tutti stavano ancora ballando e ondeggiando al frenetico crescendo della musica; alcuni gridavano o ridevano, mentre per altri era un momento di profondo silenzio. Osho aveva spiegato a noi medium il modo in cui la nostra energia opera:

“Diventare una medium significa fare un salto quantico nella dimensione dell’energia. E l’unico modo per fare questo salto, lo ripeto, l’unico modo, è attraverso l’energia sessuale. La vostra energia sessuale appartiene ancora all’emisfero destro del cervello, ogni altra cosa è ormai in possesso dell’emisfero sinistro. Pertanto, mentre assorbite la mia energia, sentitevi profondamente sessuali, sensuali. All’inizio la cosa sembrerà molto sessuale, ma molto presto arriverà a un tale punto di intensità che comincerà a cambiare, diventerà qualcosa che non avete mai sperimentato prima d’ora, qualcosa che può essere chiamato solamente spirituale – ma accadrà solo in seguito, e solo se siete totali. Se invece avete delle inibizioni, i vostri tabù prenderanno il sopravvento e vi bloccheranno; in questo caso l’esperienza rimarrà sessuale, non diverrà mai spirituale. Dovete abbandonare tutti i tabù e tutte le inibizioni; solo allora, a un certo grado d’intensità, può avvenire la trasformazione. All’improvviso vi muoverete dall’emisfero sinistro all’emisfero destro, e l’emisfero destro è la dimensione dei mistici.

Questa è la prima cosa da ricordare. La seconda è che quando siete piene di gioia, la vostra energia fluisce verso l’altro; quando siete tristi, succhiate energia all’altro. Quando siete delle medium, siate quindi il più possibile piene di gioia, estaticamente piene di gioia; solo allora l’energia comincerà a scorrere liberamente. La gioia è molto contagiosa. Dunque, non dovete fare le medium come se fosse un dovere; deve diventare una celebrazione gioiosa… Questo non è solo un piccolo esperimento per aiutare chi viene al darshan, è un esperimento per trasformare l’energia di tutta la Comune.” (da Won’t you join the Dance?)

Essere toccati da quelle mani ad alta tensione era un’esperienza psichedelica. Sembrava del tutto naturale sentire un raggio d’energia che si sprigionava dal centro del cuore (come l’avevo visto solo nei fumetti di Superman) e alle volte era persino divertente. Una volta, mentre andavo in città con un rickshaw, il raggio alla superman si manifestò improvvisamente, senza che io potessi fare nulla per arrestarlo e colpì un tizio che stava camminando per la strada. Non era nemmeno un sannyasin, soltanto un indiano che si faceva gli affari suoi. Il rickshaw continuò la sua corsa e prima che potessi vedere la faccia di quel tale, era tutto finito. Non mi sono mai interrogata sull’accaduto, mi sembrava del tutto normale. Accadeva spontaneamente, io non facevo niente. Anni dopo, Osho mi confermò che non era stata la mia immaginazione. Eravamo a Rajneeshpuram, in America, e la cerimonia dell’iniziazione al sannyas era guidata da uno dei leader dei gruppi di terapia.

Osho disse che durante l’iniziazione l’energia era bassa e avrebbe scelto alcune medium per farla salire. Spiegò che un raggio di luce avrebbe dovuto uscire dal petto delle medium. Mi guardò mentre lo diceva e io feci un cenno col capo come per dire: “Sì, lo so.” Ma lui non aggiunse altro. Percepivo il mio corpo come se fosse un veicolo, un tramite, e non sapevo mai in anticipo cosa sarebbe avvenuto: una canzone in una lingua sconosciuta, un volo verso l’albero più vicino, la sensazione di librarmi alta nel cielo. Sedevo lì, semplicemente consapevole di tutti i colori e di tutte le danze dell’energia.

La sensazione di espansione – il mio corpo che riempiva non solo Chuang Tzu, ma tutto l’Ashram – stava diventando un’esperienza di tutti i giorni. Rispondendo a una domanda, molti anni dopo, Osho spiegò che una delle tecniche di meditazione tantriche consiste nel sentire il proprio corpo espandersi fino a riempire tutto il cielo; e aggiunse che molte di queste antiche tecniche di meditazione accadono spontaneamente ai bambini, perché sono state usate in qualche vita precedente, e sono rimaste impresse nell’inconscio.

Da bambina, stando a letto, avevo avuto spesso la sensazione che la testa cominciasse a espandersi fino a riempire la stanza. A volte cresceva così tanto che mi sembrava di essere fuori dalla casa, nel cielo. Pensavo che fosse perfettamente normale e rimasi molto sorpresa quando scoprii che non capitava a tutti. Divenne un’esperienza molto piacevole durante i darshan. Un giorno, i miei genitori mi mandarono un assegno, così andai direttamente in banca dopo il discorso del mattino. Seduta su una panca, aspettando il mio turno agli sportelli, la mia testa cominciò a espandersi fino a riempire tutta la banca. Una banca indiana è caotica come una strada indiana, ma io mi sentivo perfettamente rilassata. Era stupendo, ma non potevo muovermi. Una donna indiana capì che mi stava succedendo qualcosa, mi prese per mano, mi portò allo sportello, fece la fila con me, e mi diede i soldi. Si era presa cura di me.

Esperienza mistica o no, i soldi sono fatti per essere spesi, per cui andai immediatamente a comprare qualcosa in Laxmi Road, una strada di shopping nella parte più antica di Pune, e dunque il caos per eccellenza. Mentre camminavo, destreggiandomi nel traffico di pedoni che strabordava sulla strada, e nel caos di carri, carretti, biciclette, moto, motorette, auto e camion che pareva voler risucchiare anche gli stretti marciapiedi, all’improvviso vidi che tutti i negozianti abbassavano le saracinesche dei negozi, i venditori ambulanti si dileguavano, la gente svaniva e in un lampo non c’erano più né macchine, né rickshaw, e neppure i carri trainati da buoi. Sembrava la scena di un film western quando in paese arrivano i cattivi…

Non mi sentivo allarmata, ero troppo felice per la mia ‘espansione’ in tutto l’universo, ma ormai ero l’unica persona rimasta sulla strada. Continuai a camminare lungo quella via deserta… d’un tratto mi girai, e vidi che dietro di me erano comparsi dal nulla centinaia di uomini urlanti. Era una marcia di protesta. Una folla di indiani inferociti che gridavano, camminava nella mia direzione. All’improvviso comparve un rickshaw. “Entra, svelta,” disse il guidatore, “buttati giù e non farti vedere.” Senza nemmeno chiedermi dove andare, mi portò direttamente all’Ashram.

La cosa strana è che tutte queste esperienze erano reali, naturali, come qualsiasi altra attività giornaliera. Ecco perché non mi sono mai spaventata, non ho mai avuto bisogno di parlarne con qualcuno o avere delle spiegazioni. Ne parlo ora, solo per dare un’idea del mio stile di vita in quegli anni. Osho ha spiegato chiaramente che queste ‘esperienze mistiche’ non hanno alcun valore spirituale, non aiutano affatto la crescita interiore. Solo la consapevolezza e la meditazione possono farlo. In ogni caso, proprio perché mi accadevano queste cose, mi sentivo molto protetta, pur immergendomi in uno spazio assolutamente “ignoto e senza volto”.

In quel periodo Osho mandava spesso Vivek a chiedermi come mi sentivo e cosa mi stesse succedendo. Questo mi aiutava a fermarmi per un momento e a guardare come stavo, a diventare cioè consapevole di dove sentivo muovere la mia energia. Questo deliberato osservare me stessa, era come fermare un film su un fotogramma e mi aiutava a capire quello che mi stava accadendo. Dopo ogni sessione individuale, al darshan, Osho gentilmente ci richiamava indietro: “Tornate indietro adesso, piano piano, tornate…”. Era affascinante vedere come ognuno avesse avuto un’esperienza diversa. Ancor più strano era che, anche con gli occhi chiusi, sapessi quale medium mi era vicina. A volte un uomo aveva l’energia delicata di una donna e una persona anziana l’energia di un bambino. Nell’insieme era sempre una danza leggera e giocosa.

Talvolta però la mente riusciva a insinuarsi e cercava di creare un problema, ad esempio: “Perché Osho usa quella medium e non me?” Una volta, proprio mentre stavo pensando: “Perché lei?” Lui si fermò, mi guardò dritto negli occhi e il pensiero mi si congelò nella mente… e lo è ancora.

Penso che Osho non solo condividesse con noi la sua energia, in modo che potessimo avere una fugace visione di ciò che è possibile al di là di quella che noi conosciamo come vita, ma ci abbia anche dato la grande opportunità di imparare che siamo noi i maestri delle nostre emozioni. Senza reprimere un’emozione, riuscivo a vederla arrivare e a portarla più in alto, oltre la gelosia, trasformandola in estasi e celebrazione. Era possibile convertire un’emozione buia in pura luce. Bastava non ascoltare consciamente quella voce nella testa e allargare le braccia verso il cielo, per sentirmi inondata da una pioggia di luce.

Un giorno scoprii che non riuscivo più a meditare. Fino ad allora, mi ero sentita felice come se volassi, poi improvvisamente la capacità di sintonizzarmi svanì. Quando l’energy darshan stava per cominciare mi sentivo chiusa e grigia, la mia celebrazione era finta e non percepivo più quell’euforia che avevo conosciuto prima. Per qualche giorno le cose non cambiarono, e cominciai a sentirmi triste; pensai che non sarei più stata in grado di meditare. La mia mente stava aspettando un’occasione del genere come un avvoltoio e mi saltò addosso con tutta la sua forza: “Te l’avevo detto io che era tutta immaginazione…!” La voce diceva così e continuava a ripetere questo ritornello senza sosta! Ero in collera perché non riuscivo più a sentire quella magica sensazione. Sembrava che nulla fosse in mio potere e mi sentivo truffata, mi era stata portata via. Pensavo anche che Osho aveva dato quella magica sensazione a qualcun altro e così non gli avrei certamente chiesto aiuto. Decisi di morire.

Decisi che avrei camminato verso le montagne e che lì mi sarei lasciata morire. Pune è situata su un altopiano ed è circondata dalle montagne; nelle notti d’estate sono visibili tutt’intorno alla città, nere contro il colore rossastro del cielo inquinato. Mi incamminai verso le montagne e dopo un’ora mi ritrovai in una strada senza uscita; tornai all’Ashram, presi un’altra strada e arrivai alle porte di una fabbrica. Ero disperata, ma ci riprovai. Questa volta la strada finiva in una pietraia, dietro cui c’era solo spazzatura, e in lontananza si vedevano le luci di un villaggio e ancora oltre, le montagne. Mi sembrava di vivere in una storia Sufi.

Ricordai che Osho aveva detto che il Maestro spoglia il discepolo di tutto, e mi colpì che mi avesse tolto anche il suicidio. Andai in collera. Ero lì al buio, senza un posto dove andare, niente da fare, vidi l’assurdità della mia recita e risi di me stessa. Avevo forzato la tragedia fino ai limiti del ridicolo e adesso rimaneva solo una cosa da fare: andare a letto a dormire. A quel punto immaginai di togliermi la mente come fosse un cappello, e di lasciarla lì su una roccia. E ogni volta che arrivava un pensiero, ritornavo alla roccia, lo depositavo lì e ricominciavo da zero. Ben presto mi misi a ballare e a giocare con le liane degli alberi di Banyan che crescono in libertà lungo le strade dell’India, e arrivai così alle porte dell’Ashram.

Continuai ad andare ogni sera al darshan per due anni. Qualche anno dopo sentii Osho dire: “Ero solito toccare il terzo occhio delle persone con le mie dita. Ma ho dovuto smettere semplicemente perché mi sono reso conto che stimolare il terzo occhio dall’esterno va benissimo solo se la persona continua a meditare, a osservare – in questo caso la prima esperienza che viene dall’esterno, diventa ben presto interiore.Ma l’uomo, nella sua stupidità, inizia a pensare che se io posso stimolare il terzo occhio, lui può smettere di meditare. Preferisce chiedere sempre più energy darshan con me, così non deve fare più niente. Ho anche capito che ciascuno ha bisogno di una diversa qualità e quantità di energia, e questo è molto difficile da stabilire. Talvolta qualcuno va in coma perché lo shock è troppo forte e qualcuno invece è così ritardato che non gli succede niente.” (da The Rebel, 1987)

La mia storia d’amore con Tathagat era ancora fresca ed eccitante quando Rishi rientrò nella mia vita per alcune settimane e per un po’mi sentii felice, ero fortunata a essere innamorata di due uomini. Una sera, al tramonto, in quell’ora che in Oriente viene chiamata ‘sandhya’, il cui significato è ‘il passaggio dal giorno alla notte’, mentre dal tetto della casa in cui abitavo osservavo uno stormo di gru volare verso i loro nidi sul fiume, sentii una grande tristezza. Avevo tutto quello che desideravo, eppure una sensazione di fastidio mi faceva dire: “No, non è tutto qui, c’è molto di più…”.

I mesi passavano e Tathagat e io non eravamo in grado di darci ciò che volevamo. All’epoca non sapevo che un’altra persona non può, né potrà mai, darmi quello che mi manca. Ciò che desidero è dentro di me, e cioè conoscere me stessa, e ‘l’altro’ non potrà mai darmelo, né potrà mai risolvere questo anelito. Passavamo insieme tanto tempo, ma non era mai abbastanza, mi ingelosivo ogni volta che guardava un’altra donna. Sentivo di avere l’opportunità, con quest’uomo, di trascendere la mia gelosia, ma ero semplicemente attaccata a un certo modello culturale che continuava a farmi risuonare in testa la stessa canzone, il cui titolo potrebbe essere ‘autotortura’.

Scrissi a Osho dei miei tentativi di trascendere la gelosia e di come stessi diventando sempre più infelice. Ricevetti questa risposta: “Questo non è il modo di andare al di là della gelosia. Lascialo e stai sola.” Allora decisi di lasciare Tathagat e ogni notte mi sedevo sul tetto a meditare. Ma non potevo meditare; mi aspettavo un ‘satori’, un’illuminazione. La canzone dentro di me ora diceva: “Beh, ho mollato il mio ragazzo, dov’è la ricompensa? Dov’è la beatitudine?”. Dopo una settimana Vivek mi disse che Osho mi aveva osservato durante il discorso e aveva commentato: “Ovviamente è in collera con me. Che torni col suo ragazzo…”, allora tornai con Tathagat, ma con più consapevolezza. A che cosa stavo tornando? Fortunatamente il suo visto stava per scadere e doveva partire. Lo accompagnai a Bombay a prendere l’aereo. Volevo salutarlo come si deve.

Alloggiammo all’Oberoi, un hotel a cinque stelle, e quello stesso giorno il ragazzo dell’ascensore, notando i nostri vestiti e il mala, ci disse: “Lo sapete che qualcuno ha lanciato un coltello contro il vostro guru, stamattina?”. Corsi a telefonare all’ashram: era vero! C’era stato un attentato alla vita di Osho, durante il discorso del mattino. All’improvviso il mio ragazzo, la vacanza a Bombay, tutti i miei crucci, avevano perso qualunque importanza. Cosa stavo facendo lì a Bombay? Inseguivo sogni. Un fanatico indù si era alzato durante il discorso e aveva lanciato un coltello contro Osho. C’erano venti poliziotti in borghese quella mattina; sapevano che ci sarebbe stato un attentato ed erano venuti per proteggere Osho. Perlomeno, questa era la loro versione. In realtà era vero il contrario. All’attentato era presenti duemila testimoni oculari, inclusi quei venti poliziotti. Eppure, Vilas Tupe, l’attentatore, fu arrestato e portato via, ma subito dopo venne rilasciato senza cauzione. Il giudice sostenne che non c’era stato un attentato alla vita di Osho, in quanto lui aveva continuato a parlare!! Che Osho avesse continuato a parlare mentre un coltello veniva scagliato contro di lui, dice tutto sulla sua estrema e reale centratura e su come lui sia assolutamente rilassato. Mi era già capitato di osservarlo molto attentamente, durante un darshan, quando una persona seduta ai suoi piedi all’improvviso si era alzata e aveva iniziato ad agitare le braccia, minacciandolo e dicendo che era stato mandato lì da Gesù per fare giustizia. Osho non mosse neanche un muscolo. Continuò a rimanere seduto e rilassato, e sorridendo fra sé disse al pazzo delirante: “Molto bene!”.

Durante il 1980, Osho parlò molto dei politici e di quanto siano furbi e corrotti. Era un argomento che tornava e ritornava. Io non ci potevo credere; il mio condizionamento era tale da farmi pensare che chi è alla guida di un Paese non può essere disonesto; può commettere degli errori, forse, ma fondamentalmente è gente per bene. Dovetti capirlo in seguito, per esperienza personale. Dal novembre del 1985 al gennaio del 1990 fui infatti testimone della lenta morte di un uomo innocente, avvelenato dal governo degli Stati Uniti. Inoltre, anch’io sono stata ammanettata, messa in catene e rinchiusa in una prigione americana, per un crimine che non avevo mai commesso.

Osho, come tutti i genii, è nato in largo anticipo rispetto al suo tempo. Qualsiasi cosa dica è difficile da digerire, ed è comunque vero che per vedere, accettare e comprendere qualsiasi verità ci vuole tempo. Ho sempre ammirato la pazienza di Osho in quanto Maestro, l’ho sempre ritenuta qualcosa di fenomenale: un vero miracolo! Deve essere pazzesco parlare alla gente per anni, giorno dopo giorno, sapendo che non può capirti. Vedere dai loro volti che stanno sognando a occhi aperti e che capiscono solo l’uno per cento di quello che viene detto, e spesso neppure quello, dev’essere qualcosa di sconvolgente. Eppure ha continuato a farlo: per trent’anni, Osho ha continuato a parlare, a vedere persone, tenendo anche cinque discorsi in un solo giorno.

Verso la fine del 1980, Osho iniziò a parlare di una nuova Comune. Pune era diventata troppo piccola, sotto molti punti di vista e, all’epoca dovevamo spostarci nel Kutch, una regione alquanto isolata dell’India Settentrionale. Osho ci disse che nella nuova Comune ci sarebbero stati un hotel a cinque stelle, due laghi, un centro commerciale e posto per ventimila persone; noi ridevamo di cuore. Sembrava impossibile. La frase “nella nuova Comune” era diventata la barzelletta dell’Ashram e si vedevano perfino delle magliette e dei berretti con quella scritta. Fortunatamente per noi, non dovemmo poi rimangiarci quelle parole, perché tutto ciò si sarebbe avverato!

Alla fine degli anni ’70, a Pune, Osho parlava ancora ogni mattina. I suoi discorsi erano totalmente spontanei, come del resto lo sono sempre stati. Ogni mattina alle otto entrava nell’Auditorio e parlava per un’ora e mezza, o due. Quando spiegava questo suo parlare, diceva che a volte restava stupito lui stesso: neppure lui sapeva cosa avrebbe detto, e proprio come noi ascoltavamo ciò che diceva, anche lui lo stava ascoltando per la prima volta. E ciò che diceva era qualcosa di diverso dai comuni ragionamenti: non era una filosofia, quanto piuttosto qualcosa che potrei definire come ‘la voce dell’esistenza’.

La mia sensazione è che in quello che diceva non vi era mai alcuna volontà di convincere, né tantomeno di sedurre; era piuttosto un far affiorare qualcosa. Ci si sentiva letteralmente trasportare “dall’oscurità alla luce”… e mi stupisce che nessuno, tra i giornalisti, i tanti ricercatori e gli studiosi che gli si sono avvicinati abbia mai riconosciuto la grandezza di Osho, pur facendo tesoro delle sue intuizioni, oppure utilizzandole arbitrariamente. Le sue parole sono state tutte registrate e poi pubblicate. Oggi ci sono più di settecento libri di Osho in commercio e finalmente gli si riconosce di aver dedicato la vita all’evoluzione della consapevolezza dell’umanità.

Negli anni fra il 1975 e il 1981, molti di coloro che seguivano Osho, me inclusa, avevano ancora il look dei figli dei fiori degli anni ’60: capelli lunghi e tuniche svolazzanti, inoltre giravamo senza mutande, facevamo di tutto per andare al di là dei nostri condizionamenti, e in tanto interagire tra di noi e con Osho la nostra consapevolezza cominciava a crescere. Di certo eravamo innocenti. Forse non avevamo molto i piedi per terra e vivevamo in un mondo tutto nostro. Eravamo simili a bambini che vivevano in un mondo di nuove dimensioni spirituali.

Un mattino, all’inizio del 1981, mentre ero seduta al discorso, cominciai a piangere a dirotto senza ragione. Avevo la faccia contorta, mentre fiumi di lacrime sgorgavano dai miei occhi senza che potessi fermarle. Piansi per una settimana, senza sapere il perché. È ancora un mistero per me che una parte di noi possa essere consapevole di un evento, prima che accada… ciò che accadeva era questo: in quello stesso periodo, Osho iniziò ad avere seri problemi alla schiena e dall’Inghilterra arrivò uno specialista per curarlo. Malgrado le cure, la sua schiena non migliorava e così per alcune settimane non ci furono né il discorso né il darshan. Come al solito, senza preavviso alcuno, era iniziata una nuova fase che sarebbe stata scandita da un periodo in cui Osho rimase in silenzio, e che durò più di tre anni.

Quando fu nuovamente in grado di muoversi, Osho veniva a sedersi con noi in silenzio, mentre i musicisti suonavano una musica rilassante e meditativa. Molta gente ricorda quella musica come ‘stupenda’ e quel periodo come qualcosa di speciale. Non io.

Vivevo nel terrore che potesse succedere qualcosa di spaventoso.

E fu così.

Osho andò in America.

Pubblicato in I miei giorni di luce con Osho.